top of page

09 - PORTO DI ENEA

Via scalo delle barche

09 - PORTO DI ENEA

Il poeta Publio Virgilio Marone, nell'Eneide (31 a.C.-19 a.C), colloca il primo approdo di Enea in Italia sul capo Japigio (Salento meridionale) in un luogo abitato fondato dal re cretese Idomeneo, il cui nome era conosciuto in passato col nome di Athenaion (la città di Atena o degli Athini).
L’eco dell’opera virgiliana, nata per onorare le origini di Roma e dell’imperatore Augusto, è tale che nei paesi di lingua latina il mito di Enea, marginale nei poemi greci dell’Iliade e dell’Odissea, funzionale e fondativo della grandezza di Roma, viene tramandato fino ai giorni nostri, ed è ancora oggetto di studio nei licei italiani Virgilio.
Dionigi di Alicarnasso (60 a.C. circa – 7 a.C.) nella sua storia sul passato di Roma (Antichità Romane lib.1) tramanda anch’esso l’Athenaion come il luogo dello sbarco di Enea descrivendolo munito di porto (Porto Venere). Strabone (60 a.C.-24 d.C.), geografo e storico, la cita come Fanun Minervae e nel IV secolo d.C. Svevio, il più antico e famoso commentatore latino di Virgilio conferma esplicitamente la coincidenza dell’Athenaion di Virgilio e Dionigi con la Castrum Minervae dei suoi tempi. Già in periodo greco Licofrone (IV secolo a.C.) nel suo “Cassandra” (Alessandra vv. 850-855) racconta di un tempio dedicato alla dea della guerra a sud di Taranto in cui Menelao nel suo peregrinare alla ricerca di Elena dopo la distruzione di Troia lascia alcuni ex-voto.
Secondo il Maggiulli ed altri la città cambiò nome più volte. Città antichissima fondata da popoli venuti dall’Illiria detti Hethei che imposero a numerose città del Mediterraneo il nome di Atene e, secondo il giudizio di questi autori, alla stessa divinità che in queste città veniva venerata, culto da riferirsi all’antica dea madre comune ai popoli del Mediterraneo.
Secondo questi autori la città assunse più volte nomi diversi: Athenaion, poi Laevia, poi con la traslitterazione in latino Castrum Minervae (la città di Minerva) nome che conservò fino alla rappresentazione della Tabula Peutingeriana (riproduzione medievale di una più antica mappa romana III-IV secolo d.C.), nei portolani dei geografi arabi e turchi fino al Rinascimento. Nella mappa di Soleto (V secolo a.C.), la più antica mappa geografica occidentale proveniente dall'antichità classica, attualmente conservata nel Museo archeologico nazionale di Taranto, la città è indicata col toponimo greco ΛΙΚ.
La conferma tra i luoghi letterari delle fonti storiche è la città di Castro è stata recentemente risolta con la scoperta dei resti dell’antico tempio pre-romano, con i resti della venerazione alla dea Atena e dal ritrovamento di statuaria e oggetti in bronzo da riferirsi sempre alla dea Atena in località Capanne sull’Acropoli del Centro Storico.Le riserve alla presenza di un tempio dorico in ambito messapico, specie del Salento adriatico meridionale, sono state alla base della mancata accettazione della verità letteraria sul racconto dello sbarco di Enea imputando al poeta Virgilio l’errore di aver inquadrato la leggenda di Enea in un ambito di popolazioni che avevano una diversa religiosità e strutture architettoniche di culto ben diverse dai templi della costa lucana, calabrese o siciliana. Tale riserva può dirsi ormai definitivamente sciolta, anche col contributo di numerosi specialisti nell’archeologia classica. sfoggia tutta la sua conoscenza nautica in questi versi. È noto che egli abbia navigato ben due volte verso la Grecia e morto a Brindisi di ritorno proprio da un viaggio in Grecia. Il poeta fa percorrere all’eroe le rotte tradizionali che fanno le piccole barche del tempo. Fa risalire la flotta degli esuli troiani più a nord possibile lungo la catena degli Acrocerauni, fino all’attuale Punta Linguetta, quasi fino all’isola di Saseno. Le correnti della costa facilitavano la risalita e poi da qui il lancio in mare aperto verso il Salento. In caso di correnti o venti avversi di tramontana questa misura di prudenza avrebbe impedito lo scarrocciamento oltre il Capo di Leuca in pieno Mediterraneo. Erano all’epoca barche che preferivano navigare di cabotaggio, sotto costa, che necessitavano di continue riparazioni e rinzeppature ai fasciami. Enea descrive la vista del tempio di Pallade Atena, posto molto in alto, la risalita fino al tempio, l’osservanza del consiglio di Eleno di coprire il capo e la prudenza verso le genti del posto forse ancora nemiche dei troiani.
Nel III libro Enea racconta: "ci spingiamo innanzi sul mare (...) quando da lungi scorgiamo oscuri colli e il basso lido dell'Italia (...) Le invocate brezze rinforzano, e già più vicino si intravede un porto, e appare un tempio di Minerva su una rocca. I compagni ammainano le vele e volgono a riva le prore. Il porto è incurvato ad arco dalla corrente dell'Euro; i suoi moli rocciosi protesi nel mare schiumano di spruzzi salati, e lo nascondono; alti scogli infatti lo cingono con le loro braccia come un doppio muro, e ai nostri occhi il tempio si allontana dalla riva".

bottom of page